PERCHE' UN
FRONTE POLITICO COSTITUZIONALE

;Per aprire il discorso sul FPC ricorriamo a una frase celebre di Marx: "l'umanità si pone sempre solo i compiti che può risolvere". E' importante sottolineare questa frase per uscire da un dilemma in cui ci dibattiamo nella sinistra tra il trasformismo elettoralistico che passa per tattica e l'antagonismo 'a prescindere', senza una base razionale e strategica, che poi quasi sempre tracima nel trasformismo.

Il testo che segue deriva da un'analisi della fase che stiamo attraversando e serve ad aprire un discorso che sia la sintesi tra una necessità storica e il programma che ci consenta di affrontarla. Pensare di poter invece andare avanti con la pura ideologia e con uno schema organizzativo e programmatico che non corrisponde alla realtà e non misura i rapporti di forza politici e le forze in campo, porta fuori strada le spinte al rinnovamento che per decenni sono state deluse da una cattiva pratica politica. Sul terreno rimangono, oltre alle macerie dei fallimenti, anche le sette e le nicchie culturali inerti sul piano politico e una estrema frammentazione di ipotesi.

Abbiamo invece bisogno oggi di una proposta politica e programmatica su obiettivi unificanti che sia capace di modificare lo stato presente delle cose e prepararci per un futuro senza guerre e senza sfruttamento.

***

Affinchè la proposta del FPC non risulti però generica abbiamo ritenuto necessario qui approfondire i punti di programma socialmente e politicamente rilevanti, che consentano di misurarsi seriamente con i nodi su cui verte lo scontro oggi, siano cioè in grado di delineare una prospettiva solida e convincente per il blocco sociale di riferimento, i lavoratori e i ceti interessati a uno sviluppo antiliberista. Motiviamo qui anche le ragioni che ci inducono a fare questa scelta, con un'analisi delle forze in campo e di come dovrebbero collocarsi e agire, fuori dalla logica di setta o di nicchia, coloro che in questi anni si sono battuti per un'alternativa allo stato di cose presente.

I settori che nella società italiana subiscono la logica liberista dello sfruttamento e dell'emarginazione sono molto più ampi di quelli definibili come classe operaia. La scomposizione produttiva che ha investito la manodopera salariata ne ha modificato l'impatto politico sulla società. Questo non vuol dire che il lavoro dipendente vada scomparendo, vuol dire invece che l'emigrazione, la globalizzazione e infine la robotizzazione stanno creando rapporti economico-sociali molto articolati e di maggiore sfruttamento. Inoltre lo sviluppo economico liberista spazza via anche la funzione di ampi settori del commercio, delle professioni, delle intermediazioni produttive, spingendo milioni di persone nella fornace della crisi e della marginalizzazione sociale. Questo non significa che siamo alla vigilia della rivoluzione proletaria, ma che bisogna capire il carattere effettivo delle contraddizioni odierne, e come si possano esprimere in un programma politico che sia in grado di modificare i rapporti di forza a livello sociale e istituzionale e di rafforzare il fronte antiliberista.

I punti di programma dunque non possono rappresentare, a fronte delle contraddizioni emergenti, una sorta di lista della spesa, come avviene invece coi tentativi di esprimere a livello movimentista o identitario l'esigenza di una alternativa, ma devono essere il punto di sintesi non solo di questioni rivendicative ma di un percorso di sviluppo di una forza politica di massa che punti a un nuovo modello di società che sconfigga e superi l'ideologia liberista su cui sono imperniati i rapporti sociali e di classe in Italia.

La formulazione del nostro programma e degli obiettivi politici non è quindi ancorata solo alla quotidianità, ma soprattutto alle grandi questioni con cui si può misurare una svolta vera. Per arrivare ad affrontarle veramente non ci sono scorciatoie, bisogna scendere sul terreno della capacità politica di capire le esigenze e coinvolgere milioni di persone.

La prima domanda è: ci sono le condizioni per questo passaggio? La questione non può essere risolta in linea puramente teorica. Bisogna saper individuare il punto in cui si esprime il livello di contraddizione su cui innestare il passaggio politico necessario.

Nel formulare l'ipotesi del FPC abbiamo individuato il punto di aggancio a cui collegarsi nella rottura del vecchio equilibrio politico operata dal movimento 5 Stelle. Questo non significa affatto, sia chiaro, che il nostro punto di vista coincida con quello dei 5 Stelle, ma questa è la premessa che ci può consentire di svolgere un ruolo positivo e lavorare per compiere un passaggio ulteriore.

Un certo tipo di 'sinistra' si scandalizza per questa posizione. Quello che scandalizza noi invece è che dopo tante chiacchiere non si è trovato il modo di capire che certe scelte, sulla giustizia, sulle misure anticorruzione, sul decreto dignità, sul reddito di cittadinanza, sulla pensione di cittadinanza, sul salario minimo, su quota 100, davano la possibilità di aprire brecce nel modello liberista e nel sistema di gestione della cosa pubblica. Queste scelte non solo andavano appoggiate, ma bisognava farne un punto di forza per andare avanti. Limitandosi alla critica delle 'insufficienze' dei provvedimenti si è invece visto l'albero e non la foresta, dimostrando non solo miopia politica, ma anche di collocarsi di fatto nel filone indicato dalle forze che remavano politicamente per restaurare il dominio completo dell'ordine liberista. Un'operazione in perfetta sintonia anche con l'indirizzo 'sorosiano' di certi movimenti arancioni mascherati di rosso.

Nella situazione che si è determinata ci sono oggi solo due possibilità: o le crepe prodotte negli equilibri politici e nell'ordine liberista si richiudono completamente, o si rilancia con un progetto politico che si agganci alla situazione e ci faccia superare finalmente il livello in cui ci hanno relegato coloro che furbescamente tentano di utilizzare ancora una volta le macerie esistenti spacciandole per alternativa e guadagnandoci possibilmente qualche voto.

Su che cosa si fonda il progetto che abbiamo denominato FPC?
Il punto centrale del ragionamento che portiamo avanti, come abbiamo già sottolineato, è una sintesi tra necessità oggettive e trasformazione di queste necessità in un modello di organizzazione e di azione politica di massa. In questo modo si salta a pie' pari lo schematismo da cui per decenni sono rimasti bloccati i gruppi che hanno tentato la strada dell'alternativa rimanendo però sempre al palo e dentro un recinto che si restringeva sempre più. Il passaggio da un paradigma all'altro non è però automatico e ha bisogno, preliminarmente, di una maturazione sul terreno programmatico e della crescita di forze che ne dimostrino la validità. Per impedire che questo avvenga i nostri nemici hanno lavorato con metodo, sfruttando derive identitarie e movimenti di vario genere, nessuno dei quali ha saputo uscire, per propria immaturità politica e ad opera di falsi profeti, da un ambito velleitario e ideologico. Ora bisogna ritentare, ma non si può utilizzare un materiale di risulta che è ormai inerte. Per questo riteniamo che non sia possibile qui e subito un'alternativa allo stato di cose presente, ma che tuttavia bisogna lavorare in questa direzione. Non possiamo affidare il nostro destino allo sviluppo oggettivo della realtà dentro la quale dobbiamo portare invece il peso delle nostre idee e della nostra storia. Come? Due cose ci sembrano necessarie oggi: allargare la discussione e puntare, come già abbiamo iniziato a fare, su iniziative che abbiano valore di indicazione su come collocarci di fronte agli avvenimenti. Alcune prove le abbiamo date con il presidio al Quirinale sul rispetto dell'art.11 della Costituzione e partecipando alla manifestazione 5 Stelle del 15 febbraio a Roma con una nostra posizione.

In questo contesto la verifica sul programma assume valore dirimente. Se vogliamo uscire dall'elenco della spesa, dobbiamo scegliere seriamente i punti che possono diventare coscienza di massa e spinta strategica. Senza la crescita di questa coscienza non si possono fare passi avanti e si rimane subalterni alla demagogia elettoralistica dei Salvini di turno.

Abbiamo individuato tre questioni su cui far crescere un movimento di massa organizzato e su cui puntare per una svolta. La modifica della posizione italiana sulle questioni internazionali. Una svolta antiliberista della politica economica del governo, la difesa dei lavoratori e dei cittadini.

Per riassumere questi punti programmatici abbiamo fatto riferimento ad alcuni articoli della Costituzione Repubblicana. Questo non è, come avviene spesso, un richiamo ipocrita alla democrazia e all'antifascismo, ma un collegamento storico con l'esigenza che fu posta nella Costituente di definire l'assetto costituzionale in termini di democrazia progressiva. Questa dimensione interpretativa della Costituzione ci rende consapevoli che per vincere la battaglia contro le attuali forze liberiste, eredi del blocco reazionario che dopo il 1947 ne impedì ogni attuazione veramente progressista, non basta costruire una corrente d'opinione ma serve un movimento politicamente organizzato e di avanguardia come a suo tempo fu il partito comunista. Non una setta ideologica dunque, nè un circolo movimentista che dia sfogo alla smania di protagonismo dei tanti cattivi maestri, bensì una formazione politica matura che sappia definire il suo ruolo storico e abbia la capacità di dare respiro strategico a un programma condiviso a livello di massa.

Saremo in grado di realizzare questa svolta? Per ora poniamo la questione in termini oggettivi e di necessità storica, cercando di fare un primo passo e contemporaneamente di superare le derive dei gruppi che si considerano alternativi a questo sistema economico e di potere. Il passaggio che intravediamo per raggiungere un risultato in questa direzione è ricomporre una vasta unità sul programma e definire un modello di gestione organizzativa che ci faccia uscire dalla palude dell'identitarismo astratto e dal movimentismo. Sul programma riprendiamo i punti già esposti in sintesi più volte e cerchiamo di definirne meglio la sostanza e il modo di gestirli politicamente.

La posizione internazionale dell'Italia

La battaglia su questo terreno è dura, ma essenziale. Nessuna modifica stabile degli equilibri di potere si può avere se non si cambiano i rapporti di solidarietà imperialista dell'Italia con la struttura NATO e non si mette in crisi la centrale del liberismo europeo rappresentata dalla UE. Pensare però di modificare in tempi brevi la situazione facendo appello a un sovranismo patriottico di sinistra rientra nel discorso dei cattivi maestri da evitare e presenta anche elementi di ambiguità rispetto alle posizioni della destra. La rivendicazione della sovranità nazionale deve essere contestuale alla lotta contro i legami imperialisti dell'Italia e contro i meccanismi dell'economia liberista imposta dall'UE e condivisi dalla borghesia italiana. La fuoriuscita da questi meccanismi, se non avviene nella direzione giusta produce quel sovranismo di destra, peraltro egemone in Europa, di cui è un esempio la Brexit.

Il nostro campo di azione sulle questioni internazionali deve però legarsi alle dinamiche politiche attuali per non ridursi a nicchia ideologica. Su questo terreno riteniamo efficaci ed essenziali questi punti:


a) rivendicare l'applicazione dell'art.11 della Costituzione portando fuori i militari italiani dai campi di guerra in cui oggi sono dislocati e rifiutare nuove avventure i cui effetti disastrosi sono sotto gli occhi di tutti e che vanno legati anche alla questione della immigrazione;
b) impedire che l'Italia, come avviene ora, sia una base da cui partono gli attacchi militari ad altri paesi;
c) abolire embarghi e sanzioni e stabilire una collaborazione internazionale senza discriminazioni.


Il rapporto con l'UE non può essere considerato isolatamente ma in connessione con questa visione degli obiettivi strategici, anche perchè i paesi europei sono inseriti in modo organico e permanente nel contesto dell'egemonia strategica americana (e israeliana). Il concetto di indipendenza e di sovranità dell'Italia parte dunque da questi presupposti.

Il giudizio sull'UE assume però anche una valenza specifica per quanto riguarda la concezione liberista della società e il ruolo dell'economia capitalistica. Creando l'UE gli stati fondatori hanno puntato a costruire un polo che ampliasse le capacità egemoniche di Francia e Germania e contemporaneamente trascinasse il resto dei paesi in un blocco capace di competere con le grandi aree geopolitiche esistenti. La nascita dell'euro è stato un elemento essenziale di questo progetto. Ma ora l'UE si trova a fare i conti con le contraddizioni che si sono sviluppate e il bilancio ci dice che il progetto europeista sta andando verso un fallimento rispetto alle ambizioni da cui era partito. Nonostante questo però l'UE si ostina a mantenere in piedi il suo orientamento liberista e per questo, per riaffermare una logica del tutto diversa, la battaglia contro il liberismo in Italia si lega strettamente alla lotta contro questo tipo di collaborazione europea. L'UE non è dunque solo un moloch che schiaccia l'Italia, ma un ordinamento liberista che va combattuto sul piano nazionale ed europeo e su questo obiettivo bisogna determinare le convergenze di tutte le forze antiliberiste. Il sovranismo è l'esatto contrario di questa esigenza e rappresenta gli interessi di settori di destra che di fronte alla crisi dell'europeismo, come l'esempio della Lega dimostra, vogliono ritagliarsi uno spazio nazionale entro il quale il partito degli affari e della criminalità può pensare di avere migliori possibilità. Al contrario, la battaglia va condotta sul terreno dell'antiliberismo e per la ridefinizione dei termini su cui va reimpostata la collaborazione europea fuori da logiche militari e di imperialismo economico. Non ci può essere una collaborazione europea al di fuori di uno sviluppo delle relazioni tra i singoli paesi a fini sociali e non a vantaggio della finanza e del profitto.

L'indirizzo sociale dell'economia e il nuovo modello di sviluppo

Già nel corso degli anni '50 la questione di un 'nuovo modello di sviluppo' fu posta per indicare la necessità di modificare l'indirizzo di un'economia capitalistica rampante che provocava nuove contraddizioni sociali, che si pensava però potessero essere corrette dentro il nuovo quadro di sviluppo. Si trattava, pur nell'asprezza delle lotte, di una esigenza sostanzialmente riformista, che si inseriva in un trend economico positivo. Oggi, con la mondializzazione dell'economia, i nuovi sistemi tecnologici applicati alla produzione, la comparsa di milioni di persone che entrano drammaticamente in campo a causa della miseria e delle guerre che distruggono le possibilità di vita nei paesi di origine, il sistema Italia non è più capace di assorbire le nuove contraddizioni senza modifiche sostanziali dell'indirizzo economico. Certo, l'indirizzo liberista, da Berlusconi a Monti a Renzi e infine a Gentiloni, avrebbe potuto continuare senza soluzione di continuità, ma poi a cambiare le cose sono intervenuti i risultati elettorali del 2018 che hanno fatto saltare il vecchio equilibrio politico.

Oggi non bastano i cambiamenti di facciata e anche un indirizzo riformista che si limiti a rivendicare maggiore spesa pubblica non è in grado di risolvere le nuove contraddizioni. Dopo la fine della guerra fredda e le guerre fallite per imporre a livello mondiale la totale egemonia dell'occidente capitalistico, si è aperta una nuova fase dei rapporti di forza geopolitici. L'Italia, in questo contesto, ha due possibilità: o continua nel vecchio indirizzo liberista subendone tutte le conseguenze sociali, oppure rompe con questi schemi e si apre a nuovi rapporti economici e politici internazionali che possono costituire una sponda per uno sviluppo diverso.

A questa battaglia che si è aperta dopo il marzo 2018 il FPC si propone di partecipare perchè la ritiene l'asse portante di una svolta che corrisponde alle novità emerse con la crisi dell'egemonia americana e della stessa UE. Non è solamente una questione di collocazione internazionale che, comunque, ne costituisce la premessa, ma anche il modo di orientare in senso antiliberista lo sviluppo dell'economia italiana.

Che tipo di trasformazioni riteniamo necessarie e possibili in questa fase, perchè e con quali forze? Questa è concretamente la questione che si pone oggi a un movimento politico organizzato che abbia l'ambizione di combattere la dinamica liberista e raccogliere le esigenze che, magari ancora in forma confusa, vengono dai settori popolari e dalla parte della società italiana macinata dalla crisi.

Il punto di partenza per una svolta è sottrarre al sistema liberista della finanza e della produzione il potere di gestire lo sviluppo economico e sociale del paese e consegnarlo a una direzione pubblica. E' già detto nella Costituzione che l'iniziativa privata è sì libera, ma deve svilupparsi con finalità  sociali.

   Per questo il FPC si pone come obiettivi:


a) il controllo diretto dello stato sui settori portanti dell'economia
b) la programmazione dello sviluppo economico che ne assicuri la funzione sociale
c) la valorizzazione piena di tutte le risorse umane e fisiche (agricole, ambientali, turistiche, ecc)
d) lo sviluppo della ricerca scientifica e del livello qualitativo e centrale della scuola pubblica di ogni grado.


La difesa dei diritti dei lavoratori e dei cittadini

Un cambiamento del modello di sviluppo della società italiana presuppone la partecipazione attiva dei settori sociali che sono interessati al cambiamento e questa partecipazione non si può certo limitare al voto. Un cambiamento effettivo si può avere solo se si attiva una dialettica tra istituzioni e rappresentanze attive di cittadini e lavoratori.

Sulla base dell'esperienza di un vasto movimento di lavoratori, di donne, di cittadini che per decenni si è sviluppato in Italia, è possibile ricavare indicazioni che consentano un'ampia e stabile partecipazione popolare al cambiamento. Queste esigenze di partecipazione riguardano sia i lavoratori dipendenti che i cittadini, nei rapporti di lavoro, per le condizioni di vita e per la gestione della cosa pubblica.

Sui rapporti di lavoro. Da decenni in Italia si sente il bisogno di sottrarre ai sindacati confederali Cgil-Cisl-Uil, data la loro subalternità agli obiettivi confindustriali, il monopolio di fatto della rappresentanza dei lavoratori. Questo pone un problema di democrazia costituzionale e di salvaguardia del potere contrattuale dei lavoratori. Bisogna che il dettato costituzionale sulla libertà di organizzazione sindacale e sulla libera determinazione del potere contrattuale venga veramente garantito. Un vasto movimento si è sviluppato in Italia per decenni in questa direzione con il sindacalismo di base, ma il travisamento di un disegno coerente di rappresentanza dei lavoratori e la logica di bottega delle varie sigle ha inquinato anche questa esperienza e sta dando di nuovo ai confederali l'egemonia sui lavoratori. Si pone perciò il problema della tattica da seguire e di un diverso indirizzo che ponga al centro la necessità di espressione piena e tutela giuridica dei diritti di tutti i lavoratori.

Sul ruolo dei comitati territoriali e di settore. Una parte importante del lavoro di organizzazione del FPC è diretta a sollecitare lo sviluppo di comitati di rappresentanza dei cittadini sul territorio per il controllo sui servizi sociali e sull'ambiente. Alcune di queste rappresentanze hanno necessità di coordinarsi anche in modo verticale, su scala nazionale, per esercitare un'opera di controllo su questioni come la sanità, le pensioni, la scuola. Il FPC, infine, ritiene importantissimo il controllo sul modo in cui le strutture pubbliche operano nei confronti dei cittadini e l'opera di denuncia delle connivenze con la criminalità e la malversazione.

***

Ci rendiamo conto che quello che proponiamo non può essere una ennesima idea buttata lì nell'arena delle discussioni senza un seguito. Per andare avanti e attraversare il fiume delle difficoltà c'è bisogno di costruire solide basi di lavoro e lo scontro coi nemici del nostro programma non sarà certo un 'pranzo di gala'. Per questo dobbiamo avere consapevolezza che una nuova fase si deve aprire uscendo dall'improvvisazione e dando un'immagine chiara, a livello di massa, degli obiettivi che vogliamo raggiungere e della lotta coerente per conseguirli. Solo questa sarà la nostra forza. Per certi versi l'esperienza dei 5 Stelle è stata innovativa. Essi hanno saputo coniugare il giacobinismo della gestione organizzativa con una capacità di far capire a livello di massa gli obiettivi del movimento.

Come affrontare la questione dal nostro punto di vista? Come tener conto delle nuove esperienze e delle esperienze di sconfitte? A noi sembra che per incamminarci verso una nuova esperienza bisogna che gli obiettivi che ci siamo dati vengano visti da due angolazioni. Da una parte dobbiamo dare un'immagine sintetica degli obiettivi generali in modo che se ne possa verificare la corrispondenza con le spinte reali, dall'altra, contrariamente alla demagogia elettoralistica, dobbiamo creare un ponte con le espressioni organizzate delle esigenze che vogliamo esprimere.

Sulla questione elettorale bisogna essere chiari fin dall'inizio. La scelta del voto per noi non è un assioma. Appoggeremo certe liste, come è stato alcune volte per i 5 Stelle, se valuteremo utile garantire situazioni più avanzate; useremo l'astensione quando il rifiuto di massa contro il sistema liberista diventerà una condizione necessaria. In questa fase non ci poniamo il problema di dar vita a liste inutili e identitarie. Le alternative elettorali, non elettoralistiche, possono nascere solo come espressione dell'affermazione di un movimento politico che impone una rappresentanza diretta nelle istituzioni.